In Francia!

20 Settembre 2022 1 Di wp_1499909

13-14-15 settembre 2022. Olite – Urricelqui – Saint Jean Pied de Port – Saint Palais. 57+53+35 km

Totale 145 chilometri in tre giorni, ma qui si stanno attraversando i Pirenei! Salite lunghe e dure, discese da paura… e con tutto il peso che mi porto avanzo con difficoltà. Ma poi che fretta ho? Anzi, in questi giorni devo rallentare perché Christine, l’amica come me estimatrice di Angelo Branduardi, che conosco da anni, ma non ho mai incontrato e che adesso conoscerò, mi ha scritto che sarà a casa lunedì e quindi ho quattro giorni per percorrere duecento chilometri scarsi. Penso che da oggi seguirò pedissequamente la eurovelo 3 di cui da ieri sto incontrando la segnaletica, ma in mezzo ai Pirenei me l’hanno sconsigliata perché, passando per tutti i paesini, si fanno salite molto dure, come ho potuto esperimentare l’altro ieri salendo a Urricelqui. Ma andiamo con ordine.
Mi sveglio presto, come al solito, e inizio subito a raccogliere le mie cose e a riporle nelle borse. Il tempo, metereologico, anche stavolta mi lascia giusto Il tempo di riavvolgere la tenda… il camping di Olite lo lascio sotto la pioggia, dopo essere passata a salutare Ahinoa e i suoi bambini, già pronti per andare a scuola. Già, perché loro non sono qui in vacanza, sono qui perché stanno facendo dei lavori nella loro casa. Il bar apre alle nove, farò colazione a Tafalla, quasi all’ora di pranzo, dopo la lunga sosta alla lavanderia a gettoni nella quale lavo e asciugo tutto, compresi i vestiti che indosso, bagnati fradici dopo dieci chilometri pedalando sotto la pioggia. La lavanderia è proprio dietro la Lidl che visiterò dopo la colazione al bar accanto. È sempre bene avere con sé qualcosa da mangiare, sia pure un frutto, uno yogurth, qualche biscotto… quante volte mi hanno risolto il problema della cena quando mi sono dovuta fermare in mezzo al nulla! E sarà proprio il caso di stasera. A Urricelqui ci salgo per disperazione con il buio delle nove e mezza perché sulla strada che conduce a Roncesvalle non c’è proprio niente per molti chilometri, solo di tanto in tanto un paesino arroccato sul fianco della montagna, raggiungibile con salite impossibili, credo. Già non è stato facile trovarla questa strada. La stupida miss Google mi aveva indicato un sentiero alla fine del quale mi diceva di tornare indietro. Eh no! Mi fermo ad aspettare che passi qualcuno, cosa non certa, vista l’ora, quasi le otto, e visto che non ci sono paesi visibili nei pressi. Alle brutte mi accampo qui, c’è una radura erbosa. Invece arriva una coppia di escursionisti, anche loro col cane, che, dopo essersi complimentati (mi hanno visto pedalare lungo quel sentiero sbagliato), mi dànno l’indicazione giusta: scendere lungo la strada su cui mi trovo e, raggiunta la strada principale  girare a destra. Mi condurrà a Roncesvalle. Bene, mi dico una volta raggiuntala, troverò un hostal in cui fermarmi su questa strada. Seee… dopo 15 chilometri,  ormai al buio con i fanalini accesi, decido di raggiungere questo paesino nel quale si vedono delle luci e di fermarmici per la notte, in qualunque modo. Urricelqui non è molto in alto per cui le salite impossibili sono almeno corte, ma mi ammazzo ugualmente per fare arrivare la Dolores e tutto il resto su in piazza. Ci sono due case, di cui una con qualche luce accesa e una finestra aperta. Mi ci piazzo sotto e chiamo. Si affaccia una ragazzina, le spiego la situazione e va a chiamare suo padre il quale mi dice che non troverò niente fin quasi a Roncesvalle. Ho la tenda, mi posso accampare davanti a casa sua, mi offre. Chiedo se posso fare una doccia dopo aver montato la tenda, mi indica come chiamarlo quando sarò pronta. Montare una tenda a igloo senza aver fissato il suolo con i paletti non è cosa facile, tanto per mettere la ciliegina sulla torta di questa giornata interminabile. Finalmente lo chiamo e mi conduce in un’altra casa, la loro casa rural che danno in affitto. Gli chiedo perché non mi ha affittato una  stanza: la casa la affittano intera, a famiglie. Vabbè,  se ne avvantaggerà il mio budget. Consumo la mia cena spartana, meglio che niente, e stendo il diario della tappa di oggi. È stata la giornata degli arcobaleni, stupendi, ma l’arcobaleno segue la pioggia, per cui è stata anche la giornata delle piogge. Uscita dalla lavanderia con tutto asciutto, stavolta non mi sono lasciata fregare più. Almeno tre volte ho indossato e tolto l’armamentario da pioggia e devo dire che ne sono rimasta molto soddisfatta, soprattutto del giubbino antipioggia/antivento della Decathlon. Mi chiedevo a che servisse quella specie di grembiulino impermeabile attaccato dietro col velcro che, alla bisogna si può tirare fuori. L’ho capito ancora prima di usarlo quando mi sono ritrovata con anche i pantaloncini fradici: serve a ripararti il sedere anche se non indossi i pantaloni impermeabili. Finalmente ha smesso di piovere. Mi fermo a fotografare un bel laghetto e mi imbatto nella guerra civile spagnola. Una cosa brutale, che mi lascia male per un po’. A Monreal, su quattro bei pannelli di metallo sono incisi i nomi, suddivisi per paesi e città di provenienza, Tafalla, Pamplona… luoghi per cui sono appena passata, delle vittime “seppellite”, in quella che è definita la più grande fossa comune della guerra civile, oltre ad una storia terribile: la testimonianza di due fratelli del posto costretti a gettare nel barranco cinque uomini che i franchisti scaricarono già morti e una donna, incinta, che tutti violentarono sul posto prima di ucciderla. Fa impressione pensare che tra la gente che incontri per strada ci possa essere il figlio o il nipote di una di queste bestie capaci di aver fatto cose tanto atroci. Sono ripartita sconvolta; per fortuna le difficoltà da affrontare mi riportano all’oggi, al qui ed ora. L’indomani mattina, siamo a mercoledì, mentre sto raccogliendo le mie cose di buon’ora, compare il proprietario della casa a chiedermi se mi va un caffè e così anche la colazione è salva. Mi informa che fino al pueblo di Erro non troverò un bar. Questo nome, Erro, è anche quello del fiume che attraversa questa zona sui cui ponti sono passata molte volte chiedendomi come fosse fatto questo fiume. Lo chiedo a lui che conferma la mia impressione: è molto tortuoso, fa molte anse, una specie di serpentina.
Mi avvio. Oggi voglio assolutamente passare in Francia. E infatti dormirò a Saint Jean Pied de Port, mitico inizio del cammino francese, raggiunta verso sera dopo una lunga e faticosa salita fino oltre Roncesvalle e vari chilometri di discesa da paura. Come metto piede, emh… ruota, in territorio francese, spargo un po’ di ceneri di Toby.
Saint Jean Pied de Port è strapiena di pellegrini. Passo davanti a una gite compostelliana, ma non ho la credenziale, così chiedo al primo hotel, due stelle, che incontro se hanno una stanza. Ce l’hanno e nessun problema con Laila, ma chiedono 80 euro. Vado a cercare qualcosa di meno caro, ma il prossimo hotel, completo, ne costava 120. Entro nella cittadella e mi dirigo all’accoglienza pellegrini. Ma come mi ci dirigo? É quasi in cima ad un’erta salita. Mi aiutano due pellegrini che mi dicono che questo ufficio, lo stesso in cui nel lontano 2006 eravmo andati tutti a chiedere le credenziali, ha appena chiuso, ma che alle 20.30 apriranno una palestra dove potranno dormire tutti quelli che non hanno trovato un altro posto. Nell’attesa Laila diventa la beniamina di tutti. Tutti, tranne la vecchiarda che arriva ad aprire. Il cane no, mi dice in inglese. Si dorme tutti per terra e non è igienico. Alcuni pellegrini cercano di convincerla, ma é irremovibile. Vabbè, scendo all’hotel di prima, pagherò gli 80 euro, tanto ieri notte ho dormito gratis. Ma non c’è più posto. Il proprietario,  gentile, mi spiega come arrivare al campeggio. Trovo la reception già chiusa, ma monto lo stesso la tenda. Un ragazzo e un signore lì nei pressi mi aiutano a piantare i paletti. Doccia, altra cena arrangiata (menomale avevo pranzato decentemente a Roncesvalle) e un po’ di difficoltà con Laila che stasera è particolarmente agitata.
La reception, mi dicono apre alle otto del mattino. Alle 8.20, quando sono pronta per partire, è ancora chiusa: altra notte gratis! 
E riparto per un’altra, brevissima tappa. Mi fermo a Saint Palais, solo 35 chilometri, ma ho trovato molta salita e, soprattutto, questa è una delle tante zone francesi nelle quali,  per molti chilometri, non si trova niente. Solo qualche paesino con la sua brava mairie, ma senza un bar, senza un negozio. E dato che in questi giorni non ho fretta, dopo una sosta ristoratrice al bar e un minimo di rifornimento al supermercatino nella piazza principale, decido di fermarmi qui. Incontro due pellegrine con bici elettriche che stanno anche loro cercando alloggio e sono dirette, come me, dai francescani che poi altro non sono che l’accueil pelerins che avevo visto e fotografato entrando nella cittadina. Nessun problema per loro, per me la hospitalera deve chiedere se posso rimanere col cane. I responsabili rispondono di no. Io me ne vado dicendo: “e questi qui sono francescani”. Daniel, amico dell’hospitalera Myriam, che già aveva iniziato a vezzeggiare Laila, mi richiama dicendomi che una soluzione la troveremo, lui conosce una famiglia che offre ospitalità senza problemi per i cani. Mentre cerca il loro numero arriva una chiamata nella quale gli viene detto che si può fare un’eccezione: mi viene data la camera dei disabili, comodissima, a pian terreno e dotata di bagno esclusivo, con tutte quelle barre per attaccarsi e un sedile ripiegabile nella doccia, ma senza uno specchio 😀
Faccio amicizia con Myriam e concordiamo una spaghettata cucinata da me per la cena. Daniel mi accompagna al supermercato dove, oltre a spaghetti e parmigiano, compro latte fresco e frutta. A cena siamo in quattro, c’è anche un pellegrino che si è fermato per qualche giorno. Ricevo molti complimenti per gli spaghetti anche se, secondo me, non erano un granché,  a casa mia li faccio meglio. Laila può finalmente correre libera nel giardino grande e sicuro dell’albergue e stanotte può dormire con me. Un’altra giornata finita bene.